La scienza di Strampelli e il Fascicmo
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I progetti autarchici di Mussolini e le posizioni
di Arrigo Serpieri
Almeno sul piano numerico nel triennio 1922-1925 si assiste ad
un significativo sviluppo dell'agricoltura italiana, anche se più
per motivi esogeni che per una reale politica di intervento sul
settore.
I prodotti italiani sono richiesti sul mercato internazionale anche
perché, grazie ai bassi costi della manodopera agricola,
l'offerta si presentava in termini decisamente competitivi sul piano
internazionale.
L'emigrazione aveva inoltre sfoltito in modo significativo il surplus
di popolazione agricola dalla quale, per altro, grazie alle rimesse
economiche, si poteva contare su un significativo contributo al
progetto di riequilibrio della bilancia dei pagamenti.
Insomma, il settore primario, come si evince dallindagine
di Orlando, in questi anni continuò a crescere con un tasso
del 2,3%, molto vicino a quello del ventennio che aveva preceduto
il primo conflitto mondiale.
Tale congiuntura favorevole iniziò a subire un deciso arresto
fin dal 1925, e nel quindicennio successivo il tasso medio di variazione
del valore aggiunto in agricoltura fu appena dello 0,5%.
Nel 1925 gli Stati Uniti, verso cui si era in larga misura orientata
l'emigrazione italiana, chiuse le proprie frontiere; le annate agrarie
di quegli anni furono particolarmente disastrose, e le richieste
di prodotti agricoli da esportazione, subì un vero e proprio
tracol-lo.
A tutto questo si deve aggiungere il progressivo aumento del deficit
della bilancia commerciale dovuto all'aumento dellacquisto
allestero di materie prime e macchine agrarie per le quali
si passò da un valore di importazione di 19.522.170 lire
del 1922, a 51.833.478 nel 1925, e la cifra raggiunse i 90.525.460
lanno successivo.
Ad incider tuttaltro che favorevolmente fu anche l'enorme
trend di importazione di scorte sollecitato dall'aumento dell'in-flazione,
e l'indisponibilità di beni dovuta alle pessi-me annate agrarie
di quel periodo.
Il ragionamento fatto da Mussolini era per alcuni versi inevitabile,
seppur limitato sul piano di una corretta strategia economia internazionale.
Visto che la maggiore voce che incideva in termini negativi nella
bilancia commerciale italiana era quella del grano, occorreva puntare
tutto per aumentarne la produzione al fine di ridurre l'importazione.
Si tentava cosi di affrontare uno dei problemi economici più
spinosi, e il duce avrebbe per altro avuto modo di intrecciare ulteriormente
la sua azione politica attivando una delle più forti pagine
del propagandismo di regime, indirizzato in varie direzioni, ma
soprattutto verso il rafforzamento del blocco borghese nelle campagne.
Se almeno formalmente, pur con qualche perplessità dovuta
allipotesi di raggiungere un obiettivo mai sfiorato in precedenza,
gran parte dellapparato di governo condivideva lossessione
mussoliniana dellindipendenza granaria, cera chi seguiva
un percorso di ragionamento diverso, come Arrigo Serpieri, uno degli
uomini più intelligenti e colti di cui il regime ha potuto
disporre, il quale nel 1925 pubblicò su LItalia agricola
un articolo dal titolo emblematico Osservazioni economiche sulla
coltivazione del grano in Italia.
Più volte sottosegretario al Ministero di agricoltura con
lincarico dal 1929 di sovrintendere alla bonifica integrale,
Arrigo Serpieri era dialetticamente legato al mondo dell agraria,
soprattutto toscana , all'interno della quale raccoglieva la stima
della parte più illuminata, mentre era guardato con perplessità
dalle frange più tradizionali e reazionarie, contraddizione,
questa come altre, che stigmatizzarono il suo profondo intreccio
con le vicende dellagricoltura italiana per oltre mezzo secolo,
e che, come notava giustamente Giuseppe Medici,
viste
a distanza si presentano nella forma di una sorprendente continuità
La premessa è importante perché Serpieri tra il 1920
e il 1925 si collocò come il più autorevole stratega
della politica agraria del fascismo, estrapolando, ed anche in questo
in aperta contraddizione con il diniego del regime verso il liberalismo,
numerosi teoremi paretiani, collocandoli a sorreggere sul piano
teorico il suo ruralismo politico.
Quindi persona significativa, di certo la più autorevole,
che poteva esprimersi sul fronte della politica cerealicola che
si stava sviluppando in quegli anni, prevalentemente incentrata
sulle opzioni genetiche della scuola reatina di Strampelli, e quelle
della selezione genealogica della scuola bolognese di Todaro.
Larticolo Serpieri fa una disamina completa del quadro economico
della granicoltura del paese, sostenendo tesi che, a nostro avviso,
appaiono di grande modernità, in ogni caso molto poco allineate
a quelle concezioni fortemente propagandistiche del tempo, largamente
riscontrabili nellapparato di potere del mondo agricolo, ma
a dire il vero, non condivise da Mussolini, in base alle quali occorreva
aumentare la produzione frumentaria indipendentemente dal come.
Nellarticolo Arrigo Serpieri si muove con grande cautela,
fino a rasentare lo scetticismo rispetto alla prospettiva della
battaglia del grano che da li a poco Mussolini avrebbe proclamato,
e della quale egli non poteva non essere informato.
Il fatto che nella postilla allarticolo egli precisò
di averlo scritto prima della proclamazione della battaglia del
grano, è davvero di scarsa importanza, e non tanto, e non
solo, perché esso venne pubblicato nel numero di settembre
della rivista, quindi più di due mesi dopo la proclamazione
ufficiale fatta da Mussolini, ma soprattutto perché è
difficile immaginare che il duce possa aver intrapreso tale percorso
senza essersi confrontato con lui, da sempre punto di riferimento
della politica agraria del regime, se non altro perché ricopriva
lincarico di sottosegretario del Ministero di agricoltura.
E inutile dire che il ragionamento di Serpieri è ben
lontano da quel coro di politici che sulla battaglia del grano scommettevano
gran parte della credibilità del regime.
E un ragionamento economicamente e sociologicamente avvertito,
pacato, quasi scettico, non immune da atteggiamenti di difesa degli
interessi di quelli che egli definiva come gli agricoltori-imprenditori,
insomma di quellagricoltura capitalistica della quale si sentiva
espressione:
Volendo sinteticamente prospettare le ragioni determinanti gli indirizzi
e le modalità della granicoltura italiana, e trarne quindi
norma per direttive di azione pubblica o privata, si può,
per una prima approssimazione, ragionare cosi. Essendo la produzione
attuata da privati agricoltori che agiscono in una economia di scambio,
allo scopo di realizzare un massimo di tornaconto, che diremo monetario
troveremo nelle leggi di questo le ragioni cercate. 7
Una bella differenza di approccio rispetto a chi avrebbe fatto della
battaglia del grano solo una questione di orgoglio nazionale.
Per Serpieri dovevano essere le leggi economiche a regolare un aumento
di produzione frumentaria, e avvertiva senza mezzi termini che era,
o doveva essere, limprenditore agricolo, viste determinate
condizioni ambientali collegate al prezzo dei prodotti agrari, a
stabilire la convenienza o meno a coltivare sul proprio fondo il
grano, e in quale misura e combinazione con altre coltivazioni.
Già con questo Serpieri metteva un preciso freno alle ipotesi
pianificatorie, da più parti caldeggiate, di aumentare la
superficie cerealicola nazionale.
In base agli indicati calcoli di tornaconto, lagricoltore
<<uomo economico>>, sceglie dunque la combinazione colturale
nella quale il grano è o non è ammesso, e, in caso
affermativo, occuperà una quota di superficie più
o meno estesa
In tal modo si era da sempre determinata, ed anche per il futuro
sarebbe stato cosi, lestensione cerealicola nazionale che
è solo uno dei due elementi che determina la produzione,
in quanto laltro è l'intensità,
cioè a dire la produttività dei fondi agricoli destinati
a frumento.
La produttività di un ettaro ha per ovvie ragioni una soglia
massima non travalicabile, e Serpieri era ben consapevole che le
rese massime che si ottenevano in Italia erano ben lontane dal raggiungerla.
Tale ragionamento era strumentale per introdurre un altroconcetto,
in quanto, sosteneva Serpieri,
non è detto che
raggiungere questo limite assoluto sia conveniente.
Cè una intensità di produzione alla quale conviene
fermarsi, ed egli lo sostenne con un economicamente elementare,
ma espresso da lui, e in quel contesto, assumeva anche un preciso
significato politico.
Per elevare il prodotto per ettaro, in un determinato fondo, occorre
aumentare la quantità di mezzi impiegati (lavoro, concimi
ecc.): da una parte si ha quindi un aumento di costo, dallaltra
un incremento di prodotto. Ciò sarà conveniente fino
a quando il valore dellincremento di prodotto superi, o, al
limite, eguagli, lincremento di costo.
Quindi chi voleva a tutti i costi aumentare la produzione cerealicola
del paese doveva tener ben presenti i fattori dellestensione,
la quale doveva essere in funzione delle potenzialità di
ricavo rapportata ad altre possibili colture, e del rapporto tra
il valore monetario del surplus del prodotto ottenuto, e gli investimenti
impiegati per ottenerlo.
E tali investimenti non erano solamente legati ad un maggiore impiego
di macchine agricole, manodopera e fertilizzati, questo era ovvio,
ma servì a Serpieri per porre un problema di capitale importanza.
Si trattava del dualismo agricolo delle due italie, quella centro-settentrionale
dove ladeguamento strutturale per una cerealicoltura intensiva
era in qualche modo in fase avanzata, contrapposta al meridione
dove era ancora presente:
una granicoltura che si attua su terreni i quali si trovano
ancora allo stato naturale, o quasi. E lindustria del
menar la semina, con la quale, in terre non sistemate, scarsamente
provviste di costruzioni, di strade ecc., si sparge il seme e si
raccoglie, affidandosi al buon Dio sull'esito della coltura. Il
fattore natura ha il maggior peso: il fattore uomo ne ha uno assai
piccolo. 9
Quindi, ribadiva Serpieri, se si voleva aumentare la produzione
frumentaria, non potevano non mettersi in bilancio tempi e costi
per un miglioramento fondiario del sud.
Andava poi tenuto conto che la reale produzione cerealicola italiana
era leggermente superiore a quella riportata dai dati ufficiali
i quali non tenevano conto che, contrariamente a quanto avveniva
in altri paesi dove dominava un sistema coltura esclusivo, circa
la metà della superficie cerealicola nazionale era di tipo
promiscuo, e quindi la presenza di altre colture interne a quella
cerealicola, aumentavano erroneamente la superficie di questa facendo
scendere il tasso medio di produttività.
Lincidenza venne stimata da Serpieri in circa 1/5, cosa che
riduceva la superficie reale destinata a frumento, alzando di consequenza
la media produttiva unitaria portandola a circa 14 q.li per ettaro.
Da questo deriva che il rendimento frumentario italiano era allineato
a quello di altri paesi europei, e li dove le produzioni erano microscopicamente
maggiori, andava considerata la superficie che questi paesi destinavano
al frumento.
In effetti la Germania, la cui produzione media superava i 20 q.li
per ettaro, aveva una estensione complessiva inferiore ai due milioni
di ettari, meno della metà dellItalia la cui superficie
frumentaria era di circa quattro milioni e settecentomila ettari.
Ancor più macroscopica è la differenza con altri paesi
come il Belgio, la Svezia o la Danimarca, che avevano produzioni
superiori anche ai 25 q.li, ma su superfici addirittura inferiori
ai 150 mila ettari, quindi coltivati in modo estremamente intensivo,
a differenza dell'Italia che per altro aveva una significativa percentuale
di aree montano-collinari impiegate nella coltivazione del grano.
Quindi secondo Serpieri la tanto declamata arretratezza della granicoltura
italiana era tale solo
per chi non sa istituire razionalmente
tali confronti
Questo non vuol dire che in Italia non fosse possibile o non si
dovesse aumentare la produzione frumentaria, ma che gli unici elementi
su cui si poteva agire per ottenere lo scopo non era la quantità
di superficie, ma due diversi fattori.
Il primo erano i prezzi del grano in relazione ai mezzi utilizzati
per lintensivazione colturale (manodopera, fertilizzanti,
meccanizzazione ecc.), e di conseguenza, tanto più alte erano
le possibilità di ricavo da parte degli agricoltori, tanto
più essi avrebbero effettuato investimenti allo scopo di
aumentare la resa.
Laltro fattore, che è quello che più ci interessa
in questa sede, era quello che egli chiamava il sapere
inteso in due diversi sensi.
Da un lato cera bisogno di avviare una forte campagna propagandistica
e di istruzione agraria in modo che i
migliori metodi
di coltivazione già zona per zona attuati dagli agricoltori
migliori, si estendano a tutti.
Dallaltro cera bisogno di introdurre una variabile esterna,
e cioè che
la sperimentazione scopra metodi più
vantaggiosi di quelli finora noti.
Quindi nuovi frumenti da sperimentare, e certamente Serpieri conosceva
già quelli che Strampelli teneva ancora nel cassetto, ma
su questo punto egli resta molto cauto, e il
molto fermento
di idee nuove, riferendosi evidentemente ai grani precoci
creati a Rieti, dovrà trovare un riscontro pratico
con
serietà di metodi [
] onde evitare che si possano seminare
dannose illusioni, anziché favorire il progresso.
Serpieri si pose il problema dei reali costi che si sarebbero avuti
per aumentare la produzione granaria, sia in termini di impiego
di fertilizzanti, che delle superfici che rischiavano di essere
sottratte ad altre coltivazioni, cosi come di quelle destinate al
pascolo e alle piante foraggiere, con la conseguente incidenza negativa
sul patrimonio zootecnico.
Contestualmente sostenne che uno degli elementi che incideva come
voce negativa nel quadro dei fattori di produzione era il costo
della manodopera soprattutto in quelle aree dove era maggiormente
presente un sistema di conduzione a salariati, il cui costo era
in proporzione superiore allaumento del prezzo del grano.
Egli colse puntualmente lesasperazione di quegli anni verso
la mitizzazione dellindipendenza granaria che da li a poco
sarebbe diventata la battaglia del duce, e nello stesso tempo indicò
la strada come eventualmente condurla, con lintroduzione delle
nuove varietà prevalentemente dello Strampelli.
Insomma, in questo articolo di Serpieri sembra vi sia contenuta
sia lidea della battaglia del grano, sia tutte le critiche
che successivamente si mossero ad essa, sia la difesa degli interessi
degli agrari, sia il bisogno consapevole di tradurre linvestimento
in sviluppo complessivo e duraturo, quasi ad avvertire e prendere
le distanze dal pericolo di una azione meramente propagandistica
del regime.
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