|
|||||||||||
L’ISTRUZIONE A RIETI NELLA PRIMA META’ DELL’OTTOCENTO a cura di Liana Ivagnes
All’indomani della Restaurazione, a seguito della caduta dell’impero napoleonico, lo Stato pontificio, appena risorto, si trovò ad affrontare, tra gli altri, il tema dell’istruzione. Fino alla Rivoluzione francese, il mancato impegno verso le scuole da parte del governo pontificio era dovuto a passività e disinteresse, dopo la Rivoluzione, nella diffusione dell’istruzione si vede un pericolo in quanto poteva favorire le idee rivoluzionarie. Che l’azione del governo nel campo dell’istruzione, fino ad allora, risultava essere sempre stata manchevole, lo si vede dal fatto che non esisteva nessuna istituzione o regolamento che coordinasse le varie scuole e soprattutto non si aveva un programma unico di insegnamento. Fu così che allo scopo di disegnare un quadro completo della situazione esistente, la congregazione deputata a studiare le riforme necessarie, promosse dei sistemi di rilevamento d’informazioni, una sorta di censimenti, su tutto il territorio dello Stato: metodo questo già utilizzato con successo, dai precedenti governi napoleonici per fare delle massicce e capillari rilevazioni. Si inviarono così in ogni diocesi moduli prestampati affinché i vescovi vi raccogliessero informazioni precise, riportando, per ogni comune, dati sul numero e sul tipo di scuole esistenti, sui maestri, sulle risorse economiche e anche proposte da suggerire. Dalla documentazione esaminata si è evidenziata, per l’appunto, una lettera circolare del 2 aprile 1817, n. 953, che la Sacra Congregazione del Buon Governo aveva inviato ai delegati apostolici delle province appartenenti ai territori soggetti allo Stato Pontificio, affinché ognuno presentasse un piano particolare dello stato dei fondi, dei locali, dei mezzi che avevano o che potevano proporre relativamente all’educazione o all’istruzione dei rispettivi distretti. Come risposta alla suddetta lettera, troviamo un’ interessante statistica riguardante le comunità di Rieti e della Sabina, dalla quale si evidenzia che non esisteva un unico tipo di scuola, ma una molteplicità di scuole, ognuna facente capo a se stessa, per la maggior parte scuole rette da congregazioni religiose e da Maestre pie Venerini, o le cosiddette scuole comunali; seguivano tutte sistemi antiquati, senza un principio generale. Risultavano censite 115 comunità, delle quali però solo 49 dotate di un maestro e, solo in 10 di queste, veniva praticata anche l’istruzione femminile per opera delle Maestre Pie, mentre diversamente dai comuni della provincia, a Rieti risultava esistere un Ginnasio pubblico. Partendo dagli studi sull’istruzione a Rieti, condotti dall’illustre storico reatino, Angelo Sacchetti Sassetti, infatti sappiamo che esisteva un Liceo comunale e un Seminario.
Il Liceo, istituito nel 1816,
era composto all’inizio da quattro classi, poi
visto il gran numero di iscritti, ne fu istituita una quinta
nel 1821: nella prima si insegnava a leggere e scrivere, nella seconda la
grammatica, nella terza umanità, nella quarta e quinta classe si
insegnava eloquenza e retorica. Il Sacchetti, ancora, afferma che negli
anni a seguire “ … il
Liceo prosperava sempre più e grandi erano i frutti che si avevano per
l’istruzione della gioventù reatina”. Nel
gennaio del 1829 il magistrato informava il Consiglio comunale che il
Liceo contava 220 alunni, dei quali 90 erano nella sola prima classe, “
… in quella cioè, che
maggiormente interessa e che è di maggior utile ai cittadini di ogni ceto
perché si impara a leggere e a scrivere”. Il Seminario fu istituito dal cardinale Amulio nel giugno del 1564, con all’inizio 26 alunni; si gloriò di essere il primo seminario dopo il Concilio di Trento. Dalla sua erezione e fino al 1715, aveva avuto soltanto la scuola di grammatica, ma grazie alla considerazione e alla costante solerzia dei vescovi, ebbe un notevolissimo incremento, di fatto fu ingrandito e anche arricchito di nuove cattedre, di grammatica inferiore, di grammatica, una di lettere, una di filosofia, una di teologia morale, una infine di legge; in seguito, alla frequenza delle ultime tre, furono ammessi anche studenti laici. Dopo alterne vicende, fu in auge fino all’anno 1865, data in cui fu soppresso dal ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Natoli. Tornando alla vicenda riguardante le riforme sull’istruzione, la congregazione cardinalizia deputata a studiare queste riforme, dopo un intenso lavoro preparatorio che si protrasse per alcuni anni, elaborò per l’appunto un “Metodo generale di pubblica istruzione per lo Stato Pontificio” che, redatto nel 1819, non fu però mai promulgato.
Alla morte di Pio VII, avvenuta
nel 1823, il suo successore Leone XII, riprese in mano la situazione e
nominò una nuova congregazione la
quale, ripartendo dalle risoluzioni contenute nel Metodo suddetto, dopo un
lungo lavoro di revisione, elaborarò il documento che sfociò nella
costituzione “Quod divina sapientia”. Emanata da Leone XII, con una bolla del 28 agosto 1824, pose le basi per un vasto piano di riforma dell’istruzione, intendendo uniformare l’insegnamento pubblico. In campo scolastico questa riforma degli studi del 1824 aggiungeva ai propositi di riorganizzazione, forti motivi di centralismo politico e di vigilanza, per meglio controllare i settori della formazione e della cultura, attraversati da focolai di rivolta e dalla diffusione di idee illuministe. L’avvento al soglio pontificio di Leone XII, infatti, segnò l’avvio di una politica sempre più tesa ad esasperare i presupposti religiosi del dominio temporale e a mantenere il carattere clericale del governo. Ed è con questo clima che il papa indisse il giubileo del 1825. Come organo supremo direttivo e di controllo di tutta l’attività della pubblica istruzione nello Stato della Chiesa, si istituì la Sacra Congregazione degli studi. L’istruzione nello Stato pontificio rimase così regolata dalla Congregazione degli studi, dal 1824 fino alla completa annessione dello Stato pontificio al Regno d’Italia, nel settembre 1870. La costituzione Quod divina sapientia, incentrata soprattutto sulle università, conteneva solo alcune disposizioni riguardanti i gradi inferiori di istruzione. Il primo scopo dell’istruzione primaria che si ribadiva in ogni regolamento, in ogni decreto o circolare, era la formazione religiosa dell’individuo, la sua osservanza delle pratiche di fede. Il regolamento prevedeva tra l’altro che tutti i maestri delle scuole pubbliche dovessero essere riconfermati ogni due anni dal consiglio comunale, mentre, prima delle costituzioni leonine, la nomina era ad vitam. La scelta degli insegnanti era riservata ad una commissione formata dal vescovo locale che esaminava una rosa di candidati selezionati dal consiglio comunale e l’approvazione del candidato era riservata sempre al vescovo che aveva facoltà di rimuovere l’insegnante, a meno che questi non facesse ricorso alla Congregazione degli studi. Diciamo quindi che la giurisdizione delle scuole era di fatto delegata ai vescovi. Dalla documentazione a noi pervenuta, si può constatare che la maggior parte di essa è costituita soprattutto da pratiche inerenti la nomina del maestro di scuola nelle varie comunità che, il più delle volte, corrispondeva a una riconferma dello stesso per mancanza di concorrenti. Il maestro di scuola era sempre un sacerdote che oltre a svolgere il servizio dell’istruzione ai fanciulli aveva anche il compito di cappellano, cioè di ausilio al parroco nelle funzioni religiose, come si può leggere in vari avvisi al riguardo. Costoro per accedere all’insegnamento dovevano fare solenne professione di fede, essere figli legittimi, avere minimo ventuno anni, non aver esercitato “alcun arte ria”, ed aver superato un esame in cui veniva richiesta una elementare conoscenza della lingua e del calcolo. Ed è proprio per lo scarso livello di formazione culturale dei maestri che la qualità dell’insegnamento risultava essere molto scarso. Del resto nello Stato pontificio, contrariamente ad altri Stati italiani, come il Piemonte e la Lombardia, il problema della formazione dei maestri era ritenuto secondario, vi era la convinzione che gli educatori naturali fossero i sacerdoti e che l’istruzione primaria doveva avere carattere prevalentemente morale. Bisognava attendere fino alla legge Casati per poter avere l’obbligatorietà delle istituzioni a promuovere scuole per la formazione degli insegnanti, per i quali divenne così indispensabile il possesso della patente di abilitazione per poter accedere all’insegnamento. I programmi dell’istruzione primaria erano simili a quelli degli altri stati italiani e prevedevano come materie: la dottrina cristiana, lettura, scrittura, elementi di lingua italiana, rudimenti di grammatica latina, aritmetica, calligrafia, principi di geografia e di storia sacra e profana. Gli alunni dovevano assistere alla messa tutte le mattine, confessarsi una volta al mese e recitare una preghiera all’inizio e al termine delle lezioni. L’istruzione secondaria era esclusivamente maschile, dato che le femmine, almeno quelle di estrazione popolare, si fermavano senza neanche saper leggere e scrivere, in molti casi. Generalmente ginnasi e collegi erano riservati soprattutto a coloro che volevano intraprendere la carriera ecclesiastica. L’anno scolastico durava dal 5 novembre al 20 settembre e gli esami si svolgevano prima del 15 novembre. Erano stabilite vacanze natalizie dal 24 dicembre al 1 gennaio, vacanze carnevalizie dalla sessantesima domenica del tempo ordinario al mercoledì delle ceneri, vacanze pasquali dalla domenica delle palme alla terza domenica di Pasqua ed infine altre festività a discrezione delle magistrature comunali. Va precisato che i termini istruzione primaria, istruzione secondaria e istruzione superiore nell’età pontificia, non corrispondevano a quelli attualmente in uso. Le prime classi, in cui si apprendeva il leggere, lo scrivere e il far di conto, corrispondevano alle attuali elementari, mentre le classi successive, della grammatica, umanistica e retorica, si configuravano all’incirca come le nostre scuole medie. L’istruzione che noi oggi consideriamo secondaria e che anticamente era definita superiore, veniva impartita nei collegi e nei seminari gestiti da ordini religiosi e, per le donne, negli educandati dei monasteri. Nel 1841 fu approvato un regolamento per le scuole notturne; queste che esistevano già dal 1819 per fornire ai giovani già avviati al lavoro i primi rudimenti del leggere e scrivere, si diffusero in breve tempo e anche in questo caso lo stato vigilò sempre che non diventassero sedi di diffusione delle nuove idee. Per quanto riguarda questo argomento, sempre partendo dalla documentazione pervenutaci, vediamo che per la provincia di Rieti, l’istituzione di scuole notturne, fu una svolta importante proprio perché “riconosciuta vantaggiosa tanto per la religione quanto per l’istruzione civile e sociale degli individui che, occupati dai lavori campestri non possono nel giorno accedere ad essere istruiti …”. Infatti troviamo in più comuni la presenza di queste scuole e notiamo che la frequenza alla scuola è più incidente nelle ore serali che non in quelle antimeridiane. Nel 1846, salito al soglio pontificio col nome di Pio IX, Giuseppe Mastai Ferretti, il problema dell’istruzione fu di nuovo affrontato. Ma la breve durata dell’avventura liberale del pontefice fece sì che la sua opera innovatrice non lasciasse tracce profonde. Pio IX divise l’amministrazione statale in nove ministeri tra i quali anche un ministero della pubblica istruzione che, fu affidato allo stesso prefetto della Sacra Congregazione, con competenza in tutto ciò che si riferiva al pubblico insegnamento. Unico caso fra i ministeri, ritornò ad essere una congregazione, subito dopo la restaurazione del 1849. Il 1849 fu l’anno della Repubblica romana che, nella sua pur breve esistenza, tentò di avviare un processo di rinnovamento in senso modernizzatore dello Stato, operando attraverso una riorganizzazione di settori e di strutture che investì tutta l’amministrazione pubblica. Le riforme avviate nel campo della pubblica istruzione mirarono a sottrarla alla giurisdizione ecclesiastica e ricondurla sotto la direzione del governo repubblicano che, come prima cosa, decretò che “la giurisdizione dei vescovi sopra le università e le scuole è abolita” e successivamente, rivolgendosi alle province, chiese ai rispettivi “cittadini presidi” di fornire un quadro dell’istruzione sul territorio, attraverso una serie di requisiti specifici, mirati ad ottenere una mappa della situazione. Il governo repubblicano, attraverso i suoi progetti, lasciava trasparire la convinzione che l’istruzione fosse uno strumento indispensabile di progresso e di civiltà per questo doveva essere garantita al maggior numero possibile di cittadini. Ma caduta la Repubblica romana e restaurato il governo pontificio, tutto tornò come prima e la pubblica istruzione fu ricondotta sotto la giurisdizione delle autorità episcopali che purtroppo inasprirono i toni. Fu istituito in ogni diocesi un consiglio di censura, nominato e presieduto da un vescovo, con facoltà di indagare sulla condotta e sulle idee degli insegnanti, con facoltà di sospendere o licenziare gli insegnanti di ogni scuola, esclusi naturalmente quelli dei seminari vescovili perché appartenenti agli ordini religiosi. Detto controllo riguardò anche i libri di testo. Concludendo, per quanto con Leone XII la pubblica istruzione fosse migliorata rispetto al passato, non si può negare che ancora molto rimaneva da fare. Bibliografia Congregazione degli studi, La riforma dell’istruzione nello Stato pontificio (1816-1870), inventario a cura di Manola Ida Venzo, «Pubblicazioni degli archivi di Stato, Strumenti», CLXXXVIII, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2009. ANGELO SACCHETTI SASSETTI, Le scuole pubbliche in Rieti dal XIV al XIX secolo, Rieti 1902.
|